EPICONDILITE
Testo realizzato per la rivista DIAGNOSI E TERAPIA n 6 del giugno 2019 sul tema "EPICONDILITE" dal Prof Massimiliano Noseda, docente universitario, medico specialista in medicina fisica e riabilitazione, specialista in igiene e medicina preventiva, e consulente di centri medici, strutture riabilitative, palestre e centri sportivi.
Si precisa che il seguente testo ha una finalità puramante divulgativa e non è sostitutivo di una visita specialistica, unica procedura in grado di confermare la diagnosi e di valutare il trattamento riabilitativo più adatto al caso specifico.
Con il termine epicondilite si è soliti indicare una tendinopatia inserzionale della porzione laterale del gomito ovvero un processo flogistico a carico dei tendini degli estensori di polso e mano e in particolare dell’estensore radiale breve del carpo che risulta essere spesso la struttura anatomica più compromessa. La patologia compare più frequentemente durante la IV e V decade di vita e interessa prevalentemente l’arto dominante pur potendo presentarsi bilateralmente. Questo in quanto tra i principali fattori di rischio troviamo spesso attività ludiche o lavorative che prevedono sforzi eccessivi, posture fisse prolungate ma soprattutto movimenti ripetitivi.
In ambito sportivo si osserva soprattutto nei tennisti dove la gestualità del diritto prevede una continua supinopronazione a polso esteso e dita flesse in considerazione della necessità di impugnare costantemente la racchetta. A ciò si aggiungono spesso altri fattori di rischio come l’assenza di un’idonea preparazione atletica generale, la mancanza di una fase di riscaldamento prima della partita o dell’allenamento, una tecnica non ottimale o ancora immatura, una stretta troppo vigorosa dell’impugnatura o un’accordatura della racchetta troppo tesa o lassa che scarica le vibrazioni di ogni colpo in modo eccessivo sul gomito. Contenuto invece rispetto al passato risulta essere il problema dovuto al peso dell’attrezzo in quanto le nuove attrezzature in leghe leggere sono molto meno pesanti rispetto ai telai in legno utilizzati nel secolo scorso. Per le stesse ragioni la patologia è di frequente riscontro anche in altri sport con la racchetta come il badminton e lo squash, in discipline di lancio con il disco o il giavellotto, o in alcuni sport in cui si impugna un’arma come ad esempio la scherma. Tra i musicisti è particolarmente frequente nei violinisti mentre tra le attività lavorative è comune tra sarti, pittori, cuochi, macellai, giardinieri, imbianchini e parrucchieri. Anche in questo caso i fattori di rischio implicati sono l’impugnatura continua di uno strumento, soprattutto se pesante, come il martello, il phone, la cesoia o il pennello, oppure il movimento di pronosupinazione reiterato come avviene ad esempio nell’uso di un cacciavite, nel movimento di apertura di un rubinetto, nello stappare una bottiglia o nel chiudere una porta con la chiave. Infine l’epicondilite può interessare non di rado studenti, segretarie e professionisti che utilizzano il pc per molte ore al giorno per la stesura di testi o relazioni. Questo in quanto risulta essere predisponente anche una postura fissa in flessione di gomito a polso esteso, tipica sia dello scrivere sulla tastiera sia dell’utilizzo del mouse.
Clinica e diagnosi
In caso di epicondilite il paziente lamenta tipicamente un dolore a livello dell’epicondilo che può essere localizzato o irradiarsi lungo l’avambraccio fino a polso e mano. Tale algia si riacutizza solitamente durante o dopo l’attività a rischio e tende invece a regredire o ad affievolirsi con il riposo o con il ricorso ad antinfiammatori. A ciò può associarsi in fase acuta anche un gonfiore, talvolta molto evidente, della porzione laterale del gomito. Solo nei casi più gravi o trascurati il quadro clinico evolve fino alla limitazione articolare di gomito e polso o al deficit di forza nella presa che risulta ipovalida. Spesso, tuttavia, la mancanza di un vero trauma articolare in anamnesi, la lenta insorgenza o la sintomatologia altalenante tendono a far sottovalutare al paziente la problematica e a rimandare la consultazione medica favorendo in tal modo la cronicizzazione del quadro. La diagnosi è comunque quasi sempre clinica in quanto un’attenta anamnesi e un semplice ma mirato esame obiettivo consentono di attribuire alla tendinopatia la causa del dolore riferito. Tipicamente, infatti, in questi casi il quadro algico è evocato dalla palpazione dell’epicondilo, dall’estensione contro resistenza del polso ( test di Cozen ) e dalla flessione passiva dello stesso ( test di Mills ) a gomito esteso. Pertanto l’ecografia, in grado di valutare il tendine in condizioni sia statiche sia dinamiche, è utile più che altro non solo per la semplice conferma diagnostica ma anche per valutare alcune caratteristiche infiammatorie o degenerative locali come lesioni, assottigliamenti, fibrosi, calcificazioni o edemi. Ciò consentirà non solo di formulare una prognosi più accurata ma anche di scegliere le terapie fisiche migliori in fase di trattamento. Tuttavia, è bene ricordare che un dolore al gomito può essere dovuto anche ad altre cause come patologie articolari quali artrosi o artriti, sindromi canalicolari nervose o discopatie cervicali a livello C6. Pertanto, in questi casi dubbi può essere utile ricorrere a altri esami come la radiografia semplice del gomito, l’elettromiografia degli arti superiori o la risonanza magnetica cervicale. E’ bene, quindi, affidarsi sempre ad un medico esperto, fisiatra o ortopedico, prima di intraprendere qualsiasi trattamento locale che potrebbe rivelarsi inutile o addirittura dannoso in assenza di una corretta diagnosi.
Principi di trattamento
La moltepicità dei fattori di rischio in ambito sportivo, lavorativo o ludico non rende spesso al paziente immediatamente riconoscibili tutte le attività che stressano nel quotidiano le strutture tendinee dolenti. La loro ricerca mediante accurata anamnesi risulta essere pertanto uno dei presupposti fondamentali del successo terapeutico in quanto in assenza di opportuni accorgimenti, quali l’astensione dalle attività a rischio o quantomeno la riduzione dello stimolo sia per frequenza sia per intensità, ogni altra proposta terapeutica potrebbe risultare vana. Oltre quindi al riposo è possibile considerare applicazioni locali di freddo, mediante ice pack, da utilizzare per qualche minuto anche più volte al giorno e, in assenza di specifiche controindicazioni, ricorrere a terapie antinfiammatorie, locali o per os, a base di FANS, come ibuprofene, ketoprofene o diclofenac. Tra le terapie fisiche sono invece possibili ultrasuoni, laser, tecar e onde d’urto mentre tutori di gomito possono essere indossati durante il giorno. Cardine del trattamento riabilitativo resta tuttavia il trattamento chinesiterapico attivo motorio che a seconda dei casi può prevedere esercizi di stretching, di rinforzo muscolare, di recupero articolare e rieducazione posturale da eseguire anche in autonomia al domicilio con costanza quotidiana. Con estrema cautela, possono essere infine effettuate infiltrazioni cortisoniche locali, ovvero solo previo fallimento ripetuto delle altre terapie conservative ed in numero massimo di 3 o 4. Questo per il noto effetto iatrogeno che tale principio attivo può avere sui tessuti molli e sui tendini stessi.
Premettendo che i tempi di guarigione possono essere spesso molto lunghi, soprattutto in considerazione del ritardo con cui si giunge ad una diagnosi, della mancanza di tempestività nell’intraprendere trattamenti riabilitativi appropriati o della sospensione tardiva delle attività a rischio, il 90 % circa dei quadri giunge a guarigione con il solo trattamento conservativo. Solo nel restante 10 % dei casi, è possibile considerare alcune opzioni chirurgiche che tipicamente si eseguono oggi per via artroscopica in day hospital e quindi senza ricovero del paziente. Queste possono prevedere la rimozione del tessuto tendineo degenerato ( tecnica di Nirschl ), il distacco del tendine ( tecnica di Hohmann ) o la scarificazione con cruentazione locale dell’epicondilo. Tuttavia, il recupero funzionale può non essere completo e residuare un indesiderato deficit di forza. Per tali motivi la prevenzione resta la miglior strategia da considerare ad attuare precocemente in tutti quei soggetti che svolgono attività lavorative, ludiche o sportive a rischio noto.